26 dicembre, 2013

Christmas Time

Funziona sempre così, no? Quando si hanno tante aspettative, quando si attende un momento con ansia ed impazienza, poi puntualmente arriva la delusione.

Che qualcosa sarebbe andato storto l'ho capito ieri, quando in totale scioltezza, mia suocera se ne esce dicendo: "Fosse per me, vorrei aprire gli occhi ed essere già a S. Stefano".
Ma grazie, grazie, ti ringrazio visto che passerai il Natale a casa mia, coi miei genitori, le mie nonne e mio marito, che guarda un po', è tuo figlio.
Tecnica applicata: lascia scivolare e non ci pensare, ma ormai il tarlo si era insinuato.

Allo scoccare della mezzanotte, dopo aver messo a letto la Ballerina e aver compiuto l'operazione Babbo Natale, portando tutti i pacchi nascosti per casa sotto l'albero, io e Darcy abbiamo scartato i nostri regali. E da lì è stato tutto chiaro.
Io ho clamorosamente toppato, dopo anni di onorati successi, ho fallito miseramente, me l'ha praticamente detto a chiare lettere, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno, data la sua incapacità di fingere.
Non era ciò che voleva, non gli serve, non sa che farsene.
A peggiorare il tutto, io al contrario ho ricevuto un regalo che desidero da anni, il che mi ha fatto sentire ancor peggio, se possibile.

Ma non è finita.

La mattina, stamattina, la Ballerina si sveglia con le palle (le avesse) in giostra, ma in giostra, ma in giostra che più in giostra non si può: all'ingresso di suo padre in cameretta esordisce con una serie di "No, no no no no no no non così!!!!!" urlando e piangendo.
Motivo: non pervenuto.
Spiegazioni: non pervenute.
"Ballerina, vuoi vedere se è passato Babbo Natale?"
"Biè" (il suo modo per esprimere sdegno e disinteresse).
"Ballerina, vuoi vedere se ci sono dei ragali per te sotto l'albero?"
"Biè"
"Ballerina, non vuoi aprire i tuoi pacchetti?"
"Biè"
La tentazione di far sparire i regali è forte.
Ci metto circa mezz'ora a calmarla, tenendola in braccio, sul divano, in posizioni assurde con la sciatica che quasi mi fa piangere dal male e Darcy in cucina mortificato dall'inspiegabile atteggiamento figliesco.
Quando finalmente si avvicina all'albero, afferra decisa praticamente l'unico pacchetto che non è per lei: segue tragedia in 3 atti per fare uno scambio e darle un pacchetto suo.

Ecco, da lì in avanti è andata un po' meglio.
Nonostante un pranzo fatto a spizzichi e di fretta, che mi fatto digerire male e venire mal di testa.
Nonostante abbia visto drammaticamente peggiorate le mie nonne, cosa che mi ha proprio stretto il cuore.
Nonostante abbia visto i miei stanchi e affaticati.
Nonostante tutto ciò, è andata meglio.

Fino alla fatidica ora della nanna.
Non mi dilungo. Portata a lavarsi e messa  a letto, dopo un'ora ha voluto ritornare in salotto a giocare ancora un po'....poco fa l'ho riportata in cameretta assistendo ad un capriccio di portata epica e al momento, ancora la sento piagnucolare, ma non voglio dargliela vinta.

Con la testa che scoppia e il cuoricino a pezzi nel sentire la mia bambina piangere (anche se so che è un capriccio della peggior specie), vi auguro buona notte, con una perla di saggezza:

"Thanks God it's Christmas
Yes it's Christamas
Thanks God it's Christamas
For
One 
Day".

20 dicembre, 2013

Natale, simboli e libertà

Permettetemi un piccolo sfogo, in cui il Natale diventa pretesto per esprimervi il mio malcontento.

Leggo or ora che in Francia, a seguito delle proteste di un utente, è stato rimosso il Presepe da una stazione ferroviaria, Presepe che veniva esposto da dieci anni.

In nome della laicità. C'è scritto così.

Allora, a me questa faccenda della repressione di tutti i diversi simbili religiosi e/o culturali sta profondamente, violentemente e cocentemente sui maroni.
Perchè mi sembra la negazione della libertà, non la sua espressione.

Perchè un utente ateo, infastidito dal Presepe, sia contento e con lui lo siano tutti gli altri atei del mondo, niente più Presepi nei luoghi pubblici.
Per non urtare la sensibilità dei bambini non cristiani, niente più crocifissi nelle scuole.
Per non offendere i clienti delle diverse parti del mondo, le aziende multinazionali mandano gli auguri scrivendo sui biglietti "Season's Greetings".

Ma oh.
Ma che cavolo sono i Season's Greetings??

Ironia a parte, a voi non sembra che ci sia una stortura di fondo?
Non vi sembra che in queste belle iniziative, qualcuno di non contento ci sia sempre?
Non vi sembra che reprimere, sopprimere, togliere, abolire siano tutte parole con accezione negativa?
Non vi sembra che si faccia l'esatto contrario di quello che viene richiesto, cioè la tutela dei diritti di tutte le culture e le religioni???

Invece di tutelare tutti, la sensibilità di tutti, sopprimiamo tutti i simboli, che si fa prima.

Non voglio dire che la soluzione di questo inghippo sia semplice e non voglio nemmeno suggerire metodi miracolosi, perchè non li ho, ma quello che penso è che il metodo applicato finora nella maggior parte dei contesti, ovvero l'eliminazione dei simboli, sia la negazione della libertà, non la sua espressione.

Invece di spiegarci, raccontarci, arricchirci e COMPRENDERCI l'un altro, imparando a CONOSCERCI l'un l'altro, imparando a convivere serenamente con ciò che è diverso da noi, la strada che si preferisce è quella della tabula rasa, della piattezza, dell'annullamento totale.

A me sembra una soluzione tutt'altro che democratica.

Magari, anzi sicuramente, io la faccio semplice, dalla mia comoda seggiolina, ma non vedo perchè ad un ateo/musulmano/quel che vi pare, l'esposizione di un Presepe a Natale (non a luglio), debba dar fastidio.
Se domani dovessi andare in Arabia Saudita e trovassi il Corano nel cassetto del comodino, non batterei ciglio. E non batterei ciglio nemmeno se mi capitasse a Londra, per dirne una.

Nelle scuole poi...invece di insegnare le religioni e le tradizioni degli altri, invece di ARRICCHIRE i nostri figli con questo enorme partrimonio che noi non abbiamo potuto avere, preferiamo non raccontare più un bel niente, nè di noi, nè degli altri. E non ce l'ho con gli insegnanti, che sia ben chiaro: loro fanno ciò che viene richiesto.

Ora, ditemi voi se deliro: come può questo atteggiamento, che annulla, che reprime e cancella, portare a sentimenti di fratellanza?

Canto di Natale

Come avevo preannunciato a Sandra, non ho resistito e martedì sera ho fatto un rapidissimo giro in libreria e l'ho acquistato.

Mi è stato detto che per mia figlia è troppo presto e che io, beh, non l'avevo già?
Certo ne avevo già due: uno classico e quello nella versione Disney, in formato gigante con copertina rigida, una meraviglia risalente alla mia infanzia, con un fantastico Paperone-Scrooge.
Ma questa edizione, così elegante e con le sue splendide illustrazioni, mi ha rapita.
Magari sarà anche vero che non potrò subito regalarlo alla Ballerina, ma è un libro, mica scade! Lo terrò lì, sullo scaffale e quando sarà ora, glielo leggerò.

19 dicembre, 2013

Il menu di Natale e varie amenità

Sebbene io sia una convinta sperimentatrice, aperta al cibo di altre culture ed appassionata, avendo il tempo, di cucina, per Natale non ci sono discussioni: menu tipico piemontese, della famiglia.

  • Antipasti: cotechino, salame sotto grasso (quest'ultimo è proprio una specialità della zona), vitello tonnato, peperoncini ripieni di acciughe (very Piemonte)
  • Primi: agnolotti al sugo di brasato o con burro e salvia
  • Secondo: brasato, il cui sughetto serve per condire gli agnolotti di cui sopra.
  • Formaggi: gorgonzola e toma valsesiana.
  • Frutta: uva, mandarini e frutta secca, perché si dice che porti bene.
  • Dolci: panettone per tutti, pandoro per me, pecora nera che non ama uvette e canditi.

Dopo anni di abbuffate all'insegna dell'avanzo protratto fino a Capodanno, siamo approdati a questo menu, ricco ma non troppo, che permette di non ammazzarsi a colpi di forchetta come succedeva fino a qualche tempo fa, quando le mie nonne, ancora in forma, si esibivano anche in melanzane, cavolfiori fritti e frittura dolce di semolino (da aggiungere agli antipasti) e faraona al forno (da aggiungere ai secondi). Un po' perché le due donnine non ce la fanno più, un po' perché i nostri stomaci non ce la fanno più, ora queste portate sono state accantonate.

Note di colore.
  • Se mia madre volesse restare vedova, potrebbe farlo senza problemi fornendo a mio padre salami, cotechini e formaggi ogni giorno: lui senza stufarsi, né batter ciglio, alimenterebbe sereno il suo colesterolo.
  • Se mio padre volesse far ri-ingrassare mia madre, dovrebbe portare in tavola ogni giorno agnolotti e vitello tonnato. Che invece lei tocca solo a Natale, per l'appunto.
  • Dipendesse da me, ripristinerei almeno le melanzane fritte, ma alle mie invocazioni non risponde mai nessuno.
  • Il pandoro è esclusivamente mio: anche la Ballerina predilige il panettone, ne consegue che, con calma, per capodanno me lo sono pappato tutto, da sola. Anche prima.
  • Il vitello tonnato di mia suocera è squisito, ma io rimarrò indissolubilmente legata a quello che faceva mia nonna.  La sua maionese fatta in casa resta inarrivabile.
  • Il vino bianco della discordia. Io e i miei genitori con i dolci amiamo il vino bianco dolce, in particolare io amo il passito. Mio marito ed i miei suoceri ci guardano schifati e sfoderano puntualmente il loro Brut.
  • Sogno da anni di fare i biscotti di pan di zenzero: quest'anno alla Vigilia non lavoro (prima volta da 10 anni, wow): dite che ce la faccio?
  • Le tre nonne da 6 anni a questa parte, dopo il pranzo di Natale, si piazzano sul mio divano a fare la gara delle malattie e della vedovanza: chi ne ha di più e chi si sta passando la peggiore. Tutti gli anni faccio l'arbitro e finisce pari.
  • Da che mondo è mondo, dopo pranzo mio papà telefona ai cugini romani, sordo a chi (tutti) gli dice "E' presto, staranno ancora mangiando!" e li becca all'antipasto, quando va bene.
  • Da che mondo è mondo, dopo pranzo mio papà si addormenta sul divano.
  • Adoro il Natale anche perché è l'unica volta all'anno in cui uso il mio adorato servizio di piatti di Jasper Conran.
E i vostri menu? Fatemi sapere, così magari traggo ispirazione!


16 dicembre, 2013

L'altro Natale

Recentemente un'amica mi ha detto "Il Natale è dei bambini", che se vogliamo è vero, ma in realtà è di tutti, di chi lo vuole vivere e di chi non vorrebbe. Non c'è scelta, in fondo.

Io sono sempre stata innamorata del Natale, non ho mai detto "Ah quest'anno non sento lo spirito natalizio", perché io amo da morire questo periodo dell'anno.
Per me rappresenta il culmine della stagione fredda, nella mia testa dopo le feste, l'inverno inizia la sua lenta ritirata, anche se in verità non è proprio vero; è un periodo a cui normalmente giungo sfinita, quest'anno non fa eccezione, mi sento alla frutta e bisognosa di coccole e di uno stacco, seppur breve, che arriva provvidenziale.

Ho sempre amato fare regali, pensare alla cosa più giusta per ogni persona, riflettere bene su ciò che può davvero far piacere.
Adoro le lucine, gli addobbi, le canzoncine.
Sono una bambina anch'io.

Nella mia famiglia non si è mai fatto il cenone, ma il pranzone del 25, per cui ci si riuniva a casa nostra con i nonni. Solo noi, dato che non siamo una famiglia numerosa.
La sera della vigilia invece, si festeggiava con la "famiglia adottiva": gli amici dei miei e i loro figli, per me come fratelli. Uno di loro è il padrino della Ballerina, perché sono davvero dei famigliari.

Ora è tutto cambiato, si festeggia a casa Darcy, con le nonne che sono tanto anziane e i genitori che non sono più giovani. E una vivace bambina che dà senso alla vita di tutti noi.
Con gli amici ci si vede qualche giorno prima, conciliando distanze, fidanzate, figli. Ma ci si vede e ci si abbraccia.

La gioia vera resta. Quello dello stare insieme e dell'occasione in più per riunirsi tutti. Nonostante le divergenze, le differenze e le incomprensioni.

E allora penso a chi è solo.
A chi ha perso gli affetti, a chi non li ha mai avuti. A chi non può riunire la famiglia o gli amici attorno  a un panettone.
A Natale devono sentirsi ancor più soli e forse queste persone preferirebbero non viverlo.
Almeno, chi non riesce a coglierne il senso puramente religioso e farselo bastare.
Penso che per loro lucine e addobbi abbiano poco senso e la corsa al regalo ancor meno. Penso che sia quasi sfacciato da parte delle persone come me, esternare la questa gioia bambinesca.

Oggi penso a queste persone, che magari sono più di quante pensiamo e si nascono dietro a larghi sorrisi.
Che questo Natale li possa sorprendere, nel bene.

13 dicembre, 2013

Proustiamoci!

Proustiamoci è una bella iniziativa di Lucia: si tratta di uno swap un po' particolare, dato che le blogger partecipanti si sono scambiate a due a due il Questionario proustiano, debitamente compilato.
Quando io vedo un elenco, una lista di domande...non so resistere, quindi ho subito aderito entusiasta :)
Le "coppie" di blogger sono state fatte appunto da Lucia, in quanto ideatrice dell'iniziativa ed io oggi ospito con grande gioia il questionario di Mamma Orsa Curiosona!

L'idea è quella di conoscerci meglio, di far conoscere i nostri blog a nuove lettrici e di sentirci più vicine.

Spero che l'iniziativa vi piaccia, io mi sono divertita molto!

Buona lettura!


MAMMA ORSA CURIOSONA:
Il tratto principale del mio carattere 
L'esuberanza 
La qualità che desidero in un uomo. 
La gentilezza  
La qualità che preferisco in una donna.
La complicità con altre donne  
 Quel che apprezzo di più nei miei amici. 
La lealtà
ll mio principale difetto. 
L'irruenza
La mia occupazione preferita.
Occuparmi delle mie orsette
Il mio sogno di felicità. 
Vivere senza preoccupazioni materiali
Quale sarebbe per me, la mia più grande disgrazia.
Vivere senza le mie orsette.
Quel che vorrei essere. 
Vorrei essere io, senza qualche piccolo difetto 
Il paese dove vorrei vivere. 
Australia ma non avrei mai il coraggio di farlo
Il colore che preferisco. 
Il rosa
Il fiore che amo. 
La margherita 
L'uccello che preferisco. 
Il passero 
I miei autori preferiti in prosa. 
Pennac, Flaubert, Allende, Austen.
I miei poeti preferiti. 
E' dai tempi dell'università che non leggo poesie...  
I miei eroi nella finzione
Il Signor Malaussène della saga di Daniel Pennac.
Le mie eroine preferite nella finzione. 
Madame Bovary
Le mie eroine della storia
Giovanna d'Arco 
I miei pittori preferiti
Renoir e gli impressionisti in genere
I miei eroi nella vita reale
La mia famiglia
I miei compositori preferiti
Verdi
Quel che detesto più di tutto. 
Chi parla male alle spalle 
I miei nomi preferiti
Mi piacciono i nomi francesi
I personaggi storici che disprezzo di più. 
Hitler
L'impresa militare che apprezzo di più
Lo sbarco in Normandia
La riforma che apprezzo di più
La democrazia
Stato attuale del mio animo. 
Creativo e pieno di idee
Il dono di natura che vorrei avere.
La manualità
Come vorrei morire
Non vorrei morire
Le colpe che mi ispirano più indulgenza
Quelle che derivano dalla buona fede
Il mio motto
Vivi e lascia vivere

10 dicembre, 2013

La neve scende fuori e nasconde i rumori (cit.)

La neve scende e imbianca tutto. Sotto la coltre di neve, sembra tutto più bello.

Rende morbidi gli spigoli, rende soffice il cammino.

La neve attutisce i colpi, rende i rumori ovattati, tutto è più silenzioso.

Cade zitta zitta, rallenta tutti i ritmi.

Silenzio e lentezza.

Abbiamo forse bisogno di altro, in questo mondo frettoloso, sovraesposto, concitato, agitato e caotico?

Lo so che dopo un giorno, le città fanno schifo, sembrano un pantano, i servizi di pulitura delle strade sono spesso penosi. Lo so che crea tanti disagi, che i mezzi pubblici non passano, che c'è tanta gente che la odia o al massimo dice "mi piace solo in montagna".
Avete ragione.
In parte.

Quanto è bella, quando è nuova e candida.
Quando è appena caduta e di giorno tende quasi all' azzurro e di sera riflette l'arancione dei lampioni. Quando luccica sotto le lucine di Natale.
Quando permette ai bambini di giocare a palle di neve, di fare il pupazzo, di rotolarsi senza timore.
Quando guardi per aria e i suoi fiocchi ti pizzicano le guance.

Dai neve, cadi ancora, cadi un pochino anche qui.
Proteggici dall'ansia e dalla fretta.
Proteggici dal frastuono.

Regalaci un po' di lentezza silenziosa.


Ho mostrato il fianco, adesso mandatemi pure a stendere!

04 dicembre, 2013

Mozzarella

Probabilmente la mia è una versione distorta della realtà.

Ma quando io penso a mia madre, non penso alla mamma-lavoratrice-perennementedicorsa-semiesurita-semprestancamorta che invece E' la sottoscritta.

Sarà che mia madre ha avuto me molto prima di quanto io abbia avuto mia figlia: si sa, erano altri tempi. Quindi era più giovane, più energica e forse, più sana.

Sarà che la leggenda della mia famiglia narra di una ME bambina-peluche super facile da gestire, tipo che dove mi mettevano, stavo; mai un capriccio, mai una scena madre, mai problemi con la nanna, mai problemi coi pasti. Una noia mortale. La leggenda narra anche che io non fossi assolutamente affetta dalla mammite acuta, "malattia" di cui invece soffre chiaramente la Ballerina.

Sarà che mia madre era un'insegnante e un'altra leggenda racconta di un mestiere particolarmente adatto alle donne con casa e famiglia da gestire. Qui mi permetto di dire che secondo me è una mezza verità, perché le ore di lavoro di un insegnante non si limitano a quelle trascorse in classe: credo non siano neanche la metà, a conti ben fatti. Ma tralasciamo, discorso lungo, articolato e spinoso.

Sarà che mia mamma ha avuto a disposizione 4 giovani nonni.
Ma per questo, anch'io.

Sarà che mia mamma aveva (ha) un marito estremamente collaborativo nelle faccende domestiche.
Ma per questo anch'io, anche se un po' meno.

Sarà quel che sarà.

La sostanza non cambia: io mi vedo e soprattutto mi sento, un cadavere. Una creatura che si trascina come meglio riesce nell'arco della giornata, con il perenne bisogno di riposo e di sonno. Pallida ombra di quella che ero un tempo, di quella che andava a lavorare coi tacchi.

E poi ricordo lei, con la mia età, alle prese con adolescenti problematici, con genitori isterici, con colleghe pazze, con temi al limite della leggibilità e compiti di geografia degni di Zelig. Con orari da saltimbanco, consigli di classe/istituto senza fine, fiumi di giudizi e relazioni da completare.

Eppure era sempre pettinata bene, che si trattasse di un caschettone con frangia o di una testona ricciuta.
Truccata, prima con tenui colori pastello, poi soppiantati dai "colori della terra".
Ingioiellata, "Mi sembri la Madonna di Oropa", si dice da queste parti.
Frizzante alle 6.30 del mattino (fin troppo), energica e tosta come un'insegnante deve essere, o soccomberebbe.

E le domande sorgono spontanee:
perché io invece sembro una mozzarella per colore, forma e densità?
Perché i miei capelli hanno l'aspetto di una tenda spiegazzata?
Perché io non possiedo un fondotinta?
Perché nonostante il correttore, le mie occhiaie ballano la lambada?
Perché non riesco più a mettermi lo smalto?
Perché apro gli occhi alle 7, ma il mio cervello si accende alle 10?

E dire che ce la metto tutta.
Pensate non lo facessi!

29 novembre, 2013

Le donne che non devono chiedere mai

Chi mi conosce lo sa, io oscillo. Oscillo molto. Sono umorale e incostante. Nella vita come nel blog.
Nel blog è anche un po' voluto, perché non vorrei che fosse incasellabile, io sono multisfaccettata e lui mi riflette...Tutto ciò per dire che dopo la serietà e la gravità del post precedente, oggi si cambia tono. Perché splende il sole, perché è venerdì, perché ce lo dobbiamo.


Riflettevo sui motivi più frequenti delle mie incavolature con Darcy.
Che poi non è che siano tante e sono pure da poco, più che altro io mi lamento spesso del "Non ci arriva".

Afferrata la causa, ho capito, è stato un attimo.

Spiego.

A noi donne non piace chiedere esplicitamente. Ci irrita.
Non ci piace perché è chiaro, lampante, palese: possibile doverlo esplicitare a chiare lettere?
Non ci piace perché trattasi di una tale ovvietà che ci sembra di essere pedanti a rimarcarlo. E noi non siamo pedanti, nonnò.
Non ci piace perché è una perdita di tempo, è talmente chiaro!

Ma soprattutto non ci piace perché il chiedere esplicitamente qualcosa presuppone che la persona a cui chiederemo, non lo capisca da sé.

E questa cosa per noi è INCOMPRENSIBILE.
Esula dalle nostre capacità intellettive. Appartiene a un altro mondo, ad un altro universo.

Se sono le sette e un quarto di sera, se sono arrivata a casa da 10 minuti scarsi, se sto salendo le scale con in mano una torre di babele di panni da ritirare, se l'acqua della pasta è sul fuoco, se c'è una figlia allo stato brado in salotto e io sono ancora vestita "da ufficio",  possibile che debba chiedere: "Amore, potresti per favore smettere di lavorare, uscire dal tuo studio e venire di qui a dare un occhio alla bimba e/o alla cena?"

Com'è possibile che io debba perdere tempo a chiedere una cosa tanto ovvia? Non ci arriva da solo?!

NO

Questa cosa ci manda in bestia.

Peggio di quella antipatica là con il nostro stesso vestito ad un matrimonio. Che magari le sta pure meglio.
Peggio della commessa del negozio che dice, azzeccandoci: "Cosa le prendo, Signora, un 44?", tronfia dei suoi 22 anni e della sua 40 scarsa.

Molto peggio.

Dobbiamo farcene una ragione: gli uomini NON - SONO - INTUITIVI.

Possono essere ingegneri nucleari, architetti d'avanguardia, cardiochirurghi infantili o astrofisici, ma non saranno mai ANCHE intuitivi.

Al contrario: loro amano le istruzioni precise, detestano doversi destreggiare con quelli che per loro, sono solo fumosi indizi sul da farsi.
Più gli diamo ordini chiari, meglio stanno.

Ricordo che una mia amica mi raccontò di aver spedito il marito a comprare delle pere. Tornò a casa con delle pere schifose pagate a peso d'oro. Lei: "Ma scusa, non le hai viste? Non hai letto il prezzo?Non potevi prendere qualcos'altro??" Risposta: "Ma se tu mi ha detto pere!"

Quindi tanto vale mettersi il cuore in pace, accompagnare il nostro consorte nel soggiorno dove vostra figlia ha fatto scoppiare il terzo conflitto mondiale e, di fronte al di lui sguardo interrogativo, esplicitare: "Ti spiace riordinare un pochino e stare con la piccola mentre io mi cambio e preparo la cena?".
Lui non si risentirà, tutt'altro. E forse a noi non verrà la gastrite.

27 novembre, 2013

Fa male

Quando eravamo piccoli ci sembravano forti, sempre giovani, immortali.
Colonne portanti del loro luogo di lavoro e colonne portanti della nostra casa e della nostra crescita.

Perché loro hanno spinto il nostro passeggino, ci hanno portati in braccio e in spalla.
Hanno appeso quadri nella nostra cameretta e hanno costruito giocattoli.
Con loro abbiamo imparato a correre, a cadere e a rialzarci. A non strapparci le croste sulle ginocchia, a non bere troppo in fretta l'acqua gelata della fontana, a mettere il cappellino se c'è troppo sole e a battere le pietre col bastone su un sentiero poco battuto.

Nelle lunghe domeniche pomeriggio invernali, ci hanno insegnato ad apprezzare la musica e un buon libro, perché esistono valide alternative alla tv.

Da loro abbiamo imparato che nella vita servirà tanta pazienza, che ci vuole un gran bagaglio di comprensione, di buona volontà e riconoscenza.

Erano così saggi. Sapevano sempre ciò che era giusto, farlo e farlo capire.

Da qualche anno scivolano via come la pioggia a bordo strada. Uno dopo l'altro, con una frequenza allarmante. Chi ancora giovane, tanto. Chi ancora sano. Chi invece, malato per un tempo fulmineo.

Papà di amici, di compagni di scuola delle elementari, delle medie, delle superiori. O amici dei miei, o colleghi, soprattutto di mio papà.
Sembrano improvvisamente vulnerabili, senza protezioni.
Non sono più giovani, non sono più intoccabili.

Fa male il pensiero di quelle famiglie spezzate così presto.
Fa male pensare che potrebbe capitare alla nostra.
Fa male rendersi conto di aver pensato "per fortuna non è la nostra".

22 novembre, 2013

Friday I'm in love

Stanotte ho dormito con un collarino di lana per il gran male al collo e ho di conseguenza deciso che lunedì telefonerò al massaggiatore: va bene sopportare un po' di male, ma a tutto c'è un limite.

Ieri poi, presa dalla voglia di sopperire al grigiore e al piattume lavorativo in cui sono sprofondata, mi sono iscritta ad un corso di cucina serale per imparare a cucinare brioche, krapfen e altri dolci di questo tipo.

Mi sono anche informata su un corso di fotografia, cavolo ho una splendida macchina, ma sento di non essere capace di sfruttarla al meglio. Ma questo è ancora tutto da chiarire, definire, decidere.

Prima di cena, ho fatto una torta per mia figlia: la torta a prova di imbranata frettolosa. E' una torta paradiso (o margherita, che dir si voglia) di una facilità e velocità estreme, esito garantito, se vi interessa ditemelo che pubblico la ricetta!
La bambina e il papà (anche la suocera, che era cena da noi) hanno apprezzato, era ancora tiepidina...la casa profumava ancora...fuori la tormenta e il gelo....una bella immagine.

Oggi è venerdì, finalmente termina questa settimana che mi è parsa infinita. E termina nel migliore dei modi: dopo mesi, andiamo a cena dalla mia amica sister, che magari non è la miglior cuoca della terra, ma è uno dei miei tesori.

Domani mattina ho intenzione di dormire finchè posso, complice la Ballerina che ha ereditato i geni di mamma e se non la si sveglia tira le nove che è un piacere (mio soprattutto). E per domenica sta prendendo vita un'idea (se Darcy sta leggendo, vedo i suoi occhioni verdi alzarsi al cielo pietosi e nella sua acuta mente prender vita il pensiero: oddio cosa starà inventando stavolta?!). Tutto dipenderà dal bel tempo. Piano B: kindle e divano!

20 novembre, 2013

Volo pindarico

Ho già scritto tempo fa del mio tentativo di leggere qualche riga del primo romanzo di Federico Moccia, tentativo che mi sembrava doveroso, visto che una mia ormai ex-collega me l'aveva descritto come: "...il romanzo più bello che abbia mai letto, non puoi capire, devi leggerlo, non sai quanto ho pianto".

A parte il fatto che la bellezza di un romanzo non si misura in litri di lacrime, confesso che prevenuta ero e prevenuta sono rimasta, dato che il sopra citato commento non giungeva da una persona a cui accordavo particolare stima in ambito libresco. Ma io sono snob, si sa.
Tutto ciò per dire che ci ho provato, abbandonando l'impresa dopo poche pagine. Sì che mi veniva da piangere, ma per la pochezza del lessico e l'insulsaggine del contenuto.

Ecco, oggi mi ripiomba addosso un'altra incognita della mia vita di lettrice: Fabio Volo.
Ho sentito e letto che in questi giorni l'uscita del suo nuovo romanzo è stata accompagnata da scene di fanatismo tipo Beatles allo Shea Stadium nel 1964 e che dopo una settimana il buon Fabio ha già venduto tante copie quante uno scrittore qualsiasi vorrebbe vendere nella sua vita.

Anche con Fabio Volo io ci avevo provato, con il primo romanzo, di cui ahimè non ricordo nemmeno il titolo. In quel caso ero riuscita a fare qualche passo in più, se non sbaglio ero riuscita forse anche a passare la metà. Ma che fatica. Ad un certo punto, stremata, ho lasciato perdere: la vita è troppo breve, troppo difficile e dura per farsi del male leggendo romanzi che non ci piacciono. Quindi, sebbene io detesti farlo, ho abbandonato anche quella lettura.

Oggi mi sorge spontanea la domanda: ma come mai questo fenomeno? E' solo questione di esposizione mediatica? Fabio Volo è un attore, un deejay radiofonico, conduttore televisivo. Moccia è un regista, i suoi film sono molto famosi. Certo che in molti li conosceranno e magari acquisteranno i loro romanzi "sulla fiducia". E' solo questione di questo e dello spazio che le librerie dedicano ai loro libri e alle loro controfigure cartonate?

Non ne sono convinta.
Credo che ci sia qualcos'altro che io non riesco a cogliere. Lo stesso non-so-che che mi ha fatto finire, ma quasi per niente apprezzare, Il codice Da Vinci e L'ombra del vento, indiscussi successi letterari mondiali. Che a me sono piaciuti proprio poco, ma poco.

Però ecco, non vorrei essere fraintesa e sembrare una che fa paragoni azzardati: questi ultimi due romanzi li ho finiti, magari a fatica, ma li ho finiti, fanno parte del mio personale scaffale delle boiate, ma sono leggibili, si può fare, anche se poi a me è rimasto poco.

Ma Moccia no.
E nemmeno Fabio Volo.

Eppure vendono l'ira di Dio, come si suol dire.

Ragazze, a me vengono in mente tante cose da antipatica snob, ma mi sento male a scriverle, tipo che il livello culturale si è abbassato, che questi autori scrivono delle cose semplici che la gente comune (definizione che odio!) può capire, che questi autori rendono un po' tutti lettori (e forse questo non è un male), che il loro livello è basso tanto quello di chi li legge, che chi li legge si sente figo perché legge qualcosa che è di moda, che lo fa sentire importante, perché lo capisce, perché lo leggono tutti.
E io non sono una che va a dormire con La Morte a Venezia sotto il cuscino e fa colazione coi Fratelli Karamazov. Proprio no, credetemi.

Possibile che la risposta si questa?

O semplicemente, a tanta gente piacciono e a me no, ognuno ha i suoi gusti, fine della faccenda.

18 novembre, 2013

Piovosi pensieri sparsi

Oggi piove, ma questo non ha mai rappresentato un problema per me, anche se raramente uso l'ombrello: avrò tanti difetti, ma non quello dei capelli che con l'umidità diventano crespi. No, i miei restano lisci e morbidi come spaghetti cotti a puntino.

La giornata lavorativa scivola via senza insulti e questo basta già a farmi pensare che questa sia un'ottima giornata.

E poi ci sono altre cose.

Gli ex colleghi che riescono nella titanica impresa di organizzare una cena prenatalizia, nonostante siamo davvero in tanti. Ma ce la fanno e mi fa proprio piacere, perché quelle persone sono state compagne di vita per molto tempo. Tempo significativo, denso, importante.

C'è una serata da organizzare con l'amica che io chiamo sister e ho già detto tutto: lei è la sorella che non ho, la persona che mi conosce meglio, che capisce come sto dal modo in cui mangio, che mi legge come un libro aperto, che sa di cosa ho bisogno e sa quando dirmi di no.

C'è un amico lontano che programma di tornare per qualche giorno e allora si prova ad organizzarsi per vedersi, insieme ad altre persone a cui sono affezionata, che sono parte della mia vita, una parte piccola, in termini quantitativi, ma enorme, in termini di significato.

C'è l'altra amica, quella che ormai quasi non conosco più, che mi manda rare email propagandistiche sulla sua vita quasi perfetta, che non capisco cosa voglia dirmi, che posso solo ipotizzare che mi stia dicendo: "Hai visto, avevi torto, guarda quanto sono felice, con il marito che tu mi dicevi di lasciare e senza i figli che invece tu vuoi". Salvo poi accorgermi che compra quello che le dico piace a me, che va nei luoghi che io dico vorrei visitare e che arreda la casa con mobili e oggetti visti nella mia. Vivi la tua di vita, mi viene da dirle, che a me sta bene davvero, sono tanto felice (ma non convinta) di essermi sbagliata, ma non far finta che la tua vita sia perfetta, perché nelle piccole cose, si vedono ancora le crepe che hai aggiustato con la colla.

C'è che arriva il Natale e ne sono felice, l'idea della Ballerina che scarta i regali mi emoziona e mi rende impaziente, c'è la voglia di andare in montagna, di sentire il freddo pungente e l'odore della legna che brucia.

C'è che non ho certezze sul futuro e guarda un po', oggi mi piace così.

13 novembre, 2013

La mia mela

E' iniziato tutto qui

Le cose per cui vale la pena mettere a repentaglio il mio posto in Paradiso (anche se ad essere onesta, credo al massimo di essere in lista d'attesa per il Purgatorio...), le cose per cui vale la pena vivere, rischiare. Rischiare grosso. Le cose che rendono la vita splendida, ogni giorno. Le cose a cui non so rinunciare.

La musica, quella che ti fa cantare da sola, in mezzo alla gente
I concerti, cantare, saltare, perdere la voce e sentirsi parte di qualcosa di unico
Il panino e la birra prima dei concerti
Il profumo del caffè al mattino
Giocare e ridere insieme a mia figlia
Il venerdì sera
Il silenzio della domenica mattina
Dormire fino a tardi, stare a letto fino a quando se ne ha voglia
Alzare la tapparella e trovare il mondo ricoperto di neve
Una palla all'incrocio delle righe, nel "sette"
Il profumo dell'erba appena tagliata
Il profumo dei boschi
Sentirsi a casa
Gli occhi di Darcy
Gli abbracci di Darcy
Il periodo pre-Natalizio
Una giornata sugli sci conclusa con cioccolata calda, doccia e caminetto acceso
Leggere le favole a mia figlia
Il primo giorno di ferie
Le chiacchiere con la mia amica
Le birre con la mia amica
La soddisfazione di quando si raggiunge un rifugio e si può gustare la polenta
I ricordi delle mie estati montanare
I viaggi che ho fatto e quelli che farò
Leggere
Leggere in inglese e accorgermi che è bellissimo
Arrivare a casa la sera, soddisfatti della giornata
I baci di mia figlia
La Guinness
Le belle notizie che fanno saltare il cuore
Il profumo del bucato appena raccolto
Il canto dei grilli nelle serate estive
Il profumo di "camino" nell'aria, d'inverno
La casa che sa di dolci appena sfornati
Le serate a casa con amici e figli
Una mail per un colloquio di lavoro
Un acquisto super azzeccato

Altre mele qui e qui :)

A voi la palla. Anzi, la mela!



Quello che i papà non dicono (ma che le mamme sanno)

AVVISO A TUTTI I PAPA': VI VOGLIAMO BENE LO STESSO!!!
E' solo un po' di ironia...

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Beh direi che da stasera possiamo mettere il lettino in cameretta, no?
Leggi: tanto farai tu la spola ogni notte dato io non posso allattarla e poi lavoro.

Guarda che se potessi, la allatterei io di notte per farti dormire un po'!
Leggi: GrazieSignoreGrazie le tue tette funzionano alla perfezione

E' meglio che la faccia dormire tu, che hai più pazienza, amore.
Leggi: io preferisco stare sul divano a guardare la tv, dato che ho lavorato tutto il giorno.

Basta, è ora di buttare via quel ciuccio!
Leggi: tanto sei tu che la metti a letto quindi non me ne preoccupo. Se poi nel cuore della notte si svegliasse, vale la regola di cui al punto uno.

E' ora di farle fare il pisolino pomeridiano suo lettino, basta lettone!
Leggi: se mi chiedi di farle fare io il pisolino pomeridiano, nessun problema: la metto nel lettino, chiudo la porta e la lascio lì. Prima o poi si addormenterà.

Cambiala tu per favore che sei più pratica.
Leggi: quello che potrei trovare nel pannolino, mi fa leggermente ribrezzo.

Esci pure tu con la piccola, così prendi una boccata d'aria, sto io a casa a fare i lavori!
Leggi: oh adesso carico la lavatrice e poi vai di divano e Wii!

Basta, è ora di togliere questo pannolino e usare il vasino!
Leggi: tanto i per i vestiti c'è la lavatrice, idem per l'imbottitura del seggiolone, per il tappeto la lavanderia e per tutto il resto TU.

12 novembre, 2013

Argento


Domenica mattina.
Il cielo e il mare si confondono e incontrando un raggio di sole diventano argento.



La pace che questa foto emana, stride violentemente col rimescolamento interno che vivo stamattina.

I tasselli di vita sparsi in giro a volte mi sembrano così tanti, a volte ho la sensazione di essere io stessa a spargerli in giro.
Oggi ho la sensazione di aver girato il coperchio e non riuscire a vedere il disegno da comporre.

Poi penso alle cose che amo fare.

Leggere. Scrivere. Cucinare dolci. Fotografare. Stare con la mia famiglia.
Semplice, no?

Ok, ce la posso fare.
Anche oggi.


11 novembre, 2013

Buona settimana

Adoro l'autunno.

Mi piace pensare alla terra che va a dormire, che si riposa, per risvegliarsi fresca e riposata.
Mi piacciono le castagne, in tutti modi. Le caldarroste per scaldarsi mani e stomaco in un freddo sabato pomeriggio, anche se poi le mani restano nere. E poi riso latte e castagne da gustare bollente, ricetta antica che sa d'amore. I marron glacé, sfiziosi e un po' proibiti.
Mi piace la zucca: al forno col formaggio, bollita con olio e sale, mi piace la zuppa, mi piace fritta e mi piace il risotto alla zucca e scamorza (e sono pure brava a farlo!)
Mi piace andare al bar e concedermi una cioccolata calda.
Mi piace uscire dall'ufficio e trovare il buio, la città che brilla sotto le luci dei lampioni e delle automobili.
Mi piace tornare a casa e preparare qualcosa di caldo e dopo cena, trovare il tempo per fare un dolce, magari i biscotti alla cannella.
Mi piace godermi il periodo pre-natalizio, la ricerca dei regali, dei bigliettini, della carta e dei nastri. Mi piace comprare per gli altri.
Mi piace ricordare il Natale di quando ero bambina.
Mi piace vedere le finestre illuminate delle case e immaginare la vita che c'è dentro.
Mi piace nascondermi nella sciarpa e sentire l'aria fredda sugli occhi.
Mi piace aspettare la neve.

Tuttavia

Oggi splende un sole caldo e limpido, quel tipo di sole che nasce solo dopo una nottata di forte vento.
Quindi meglio godersi questo anomalo tepore, il blu intenso del cielo e l'aria tersa, perché per tutto quanto sopra descritto, ci sarà tempo, ne sono sicura!




08 novembre, 2013

Bastava dirlo

Come scriveva Chiara di Ma che Davvero?, ci sono tante cose che le mamme non dicono.

Stamattina riflettevo su cosa non è stato detto a me.

Quando ero incinta, una delle mie stupide angosce, era la gestione della "corsa in ospedale" quando si fosse presentato il momento.
Come farò a capirlo? E se capita di notte? E se non mi sveglio?

A quattro mesi di gravidanza ho avuto dei forti dolori che il gine niueig definì conseguenza "del tuo utero che si sta dilatando: si vede che era un po' rigido"- Sti gran cavoli, a me sembrava di morire: 3 notti in bianco, dolori lancinanti, incapacità di trovare una qualsivoglia posizione di quiete. Sdraiata o in piedi che fossi.

Saranno così, le contrazioni? Mi domandavo. Mah. Nessuna risposta.

Le già-mamme, normalmente logorroiche e prolifiche di consigli non richiesti, di racconti splatter e di tragicomiche avventure finite tarallucci e vino, mi sembravano tutte improvvisamente ammutolite.
Eppure la domanda mi sembrava semplice: Come capirò che è arrivato il momento di andare in ospedale?

Ma l'unica, sibillina, criptica risposta che ottenevo era un sopracciglio alzato, lo sguardo al cielo che dice "povera ingenua" e le seguenti parole: "Ah lo capirai, lo capirai. Oh, se lo capirai".
Punto.
Nient'altro?
No.

Lo capirai.
Va bene, prendo e porto a casa, ma ne so quanto prima. Io che mi sentivo mamma incapace già in partenza, non avevo grande fiducia nel mio istinto, quindi ho trascorso i mesi successivi ad arrovellarmi e in qualche modo ad invidiare chi si sarebbe trovato una data ed un'ora precisa per il ricovero. Almeno sanno, pensavo.

E dire che sarebbe bastato così poco, care già-mamme.
Dopo che avete terrorizzato il prossimo vostro con racconti di travagli di durata record, urla sentite nella provincia vicina, dilatazioni tardive, punti che manco un quadretto al punto croce...vi sembrava a quel punto opportuno tacere questa verità? Credete che fosse fondamentale per non spaventarmi? Non pensate fossi già opportunamente terrorizzata?

Bastava dirmi: Lizzie, te ne accorgerai perché farà un male bestia, mai sentito prima. MAI.
Bastava dirlo.

06 novembre, 2013

Capita

Capita che i bambini prendano il raffreddore a novembre. Anche in uno strambo novembre con quasi 20 gradi (o forse proprio per questo).

La prima notte di raffreddore significa zero ore di sonno, la mamma lo sa, la mamma conosce la sua piccola polla, nonostante lo sguardo scettico della nonna alla frase "Stanotte non si dorme" , lei sa che ha ragione.

E infatti.

La nottata è un susseguirsi di risvegli piagnucolosi, la mamma decide di pernottare sulla Poang accanto al lettino e dormire (?) lì, con il golfino di lana e la coperta buttata addosso. Ha deciso così in un momento di insensato spirito di sacrificio (così almeno Darcy potrà dormire tranquillo), misto a un vago senso di orgoglio mammesco (quando si sveglia, vuole solo ME).
Ad ogni risveglio (ogni mezz'ora circa) la questione si risolve infatti con un'asciugata di nasino e un "La mamma è qui tesoro" e la piccola si riaddormenta, russicchiando. La mamma no, nè dorme, né tanto meno russa, ma questo era messo in conto.

Ora, per quanto la Poang sia un'invenzione meravigliosa (tanto che ne abbiamo 2), che mi ha comodamente ospitata durante i mesi di allattamento e sostenuta durante il periodo dei risvegli repentini, quando una soffre di cervicale, non è proprio l'ideale. Almeno per passarci la nottata.
Ieri mattina il mio collo gridava aiuto, tutto il lato sinistro era dolorante, dalla tempia alla spalla.

Va beh, dopo una dose massiccia di caffè, la mamma esce di casa direzione ufficio (la Ballerina ronferà beata fino alle 8.40).

Uno, due, tre, quattro. Al quinto gradino in salita, capita che il ginocchio sinistro decida di fare concorrenza al collo: un dolore lanciante, difficoltà notevole a stendere la gamba, male bestia a camminare.

Ok, capita pure questo, stasera incontrerò il mio amico Voltaren.

Ebbene, arriviamo ad oggi.
La nottata è stata provvidenziale, la piccola ha dormito e la mamma pure, alle 11 era già a letto, cosa che non capitava credo da quando faceva prima media. Stamattina altra dose di caffè e Voltaren e via che si a lavorare.

Ma nel corso della mattinata capita che il mal di testa diventi insopportabile. Vogliamo negarci un moment act? Giammai. Et voilà. Ora aspetto che faccia il suo benefico effetto.

Siamo a mercoledì. Posso dire che almeno metà settimana è andata?

05 novembre, 2013

Oltre il danno, la beffa

Premessa Uno.
Lizzie desidera da tempo un cellulare nuovo, un cellulare con cui fare belle fotografie, con cui sentirsi collegata con il mondo. Un cellulare che funzioni bene.
Lizzie non si compra un cellulare dal 2001. Non scherzo.

Premessa Due.
Lizzie come ben sapete, lo scorso anno ha lasciato il lavoro principalmente perché, chiudendo la sede cittadina, per lei sarebbe stato impossibile raggiungere l'ipotetica nuova sede.

Premessa Tre.
Gli uomini sanno essere di un candore disarmante.
Parlano col cuore in mano e l'espressione di bambino.
Una porzioncina del loro cuore resta sempre in quarta...no, forse in quinta elementare, legata ai sentimenti puri che contraddistinguono quell'età: sentimenti netti, forti, chiari. Felicità, tristezza, odio, amore.
Sono teneri, a loro modo. Viene voglia di abbracciarli e strapazzargli la faccia. Come a degli orsetti di peluche.


Ieri.

Darcy torna a casa (tardi) tutto felice, ha due belle notizie.
Prima. La Multinazionale gli fornirà un nuovo smartphone, in sostituzione della ciofeca con cui tira giù improperi a raffica da alcuni mesi, perché funziona male. Preso atto che trattasi di ciofeca, l'azienda gli accorda una sostituzione anticipata con uno smartphone degno di tale nome.
Seconda. I sindacati hanno finalmente reso pubblico il piano di ufficializzazione per 3 tipologie di remote workers, la Multinazionale si adeguerà finalmente all'Europa e consentirà il lavoro da casa. Tutto previa approvazione, certo, ma sarà consentito almeno avanzare una richiesta.

"Così adesso se ti accontenti di questo (la ciofeca), potrai usarlo tu!!! Perché non penso lo vogliano indietro (eccerto, è una ciofeca!). Alla fine, è nuovo." dice Darcy con gli occhi colmi di quella contentezza di chi sa che sta facendo un dono gradito.

"Finalmente, farò subito la richiesta, così potrò lavorare da casa dai 3 ai 5 giorni la settimana!" dice Darcy con lo sguardo pieno di gioia e soddisfazione.


Lizzie sente due fitte nel suo irrazionale cuoricino. Anzi tre.

Lizzie pensa al suo lavoro triste e traballante, al suo capo con cui non-si-dialoga, alla sua postazione di lavoro che grida "Me ne sbatto di te, 626!" , alle risate (sì, risate) suscitate alla richiesta di avere una sedia decente. Non bella, non nuova. Decente, la mia è rotta.

Lizzie pensa che una volta lavorava dove lavora Darcy e pensa che lui non ha alcuna responsabilità di quello che è successo.

Lizzie è molto felice per il suo consorte ed è molto felice che lui le abbia così candidamente trasferito la sua gioia e Lizzie non vorrebbe mai che questo cambiasse. Mai. Perché è bello che almeno lui abbia queste soddisfazioni.

Ma si sente anche nella situazione di...come dire, che oltre al danno, la beffa.
E quindi Lizzie, tanto per cambiare, si sente in colpa, perché ha la sensazione di non riuscire ad essere completamente felice per Darcy.

Moglie orribile che non sei altro.


04 novembre, 2013

Tempo

Dopo tre giornate splendide, è faticoso tornare alla routine. E' faticoso, ma anche doveroso e in qualche modo "giusto".

Abbiamo commemorato chi non c'è più, mettendo il lumino sul davanzale e lasciando biscotti, castagne e vino sulle nostre tavole. Li abbiamo pensati tanto, i nostri cari. Abbiamo ricordato e desiderato averli ancora qui, almeno per un minuto.

Siamo stati in montagna.
Abbiamo anche celebrato la vita, gli amici, la famiglia.

Sono stata benissimo. Come sempre, quella è casa, è il posto dove mi sento meglio, dove sono io e basta.
Facce amiche, luoghi cari, profumi e rumori famigliari.
E tanta nanna, tutti e tre, anche la Ballerina, fino alle 9 del mattino, che ogni tanto non guasta!

Tempo per pensare che è questo quel che vale, per quanto le 8 ore quotidiane in ufficio provino in tutti modi a farmelo dimenticare.
Tempo per riposare, magari camminando, accanto al fiume, tra le foglie secche in terra e quelle che svolazzano nell'aria cadendo dagli alberi.
Tempo per ritrovare gli amici, di vedere i bambini che crescono. E sentirli ridere insieme.
Tempo per riflettere su cosa sia giusto fare, nei prossimi mesi.
Tempo per svuotare il cervello da tutti i pensieri negativi.
Tempo per ricaricarsi anima e corpo.
Tempo per volersi bene.

29 ottobre, 2013

Musica

Ieri sera ho fatto una cosa che non facevo da boh...dieci anni? Forse.
Sono andata a letto con il mio iPod, sapete, quello vecchio, il primo che era uscito con 30 giga di memoria. Ora è pieno zeppo, ma non posso ancora pensare di sostituirlo, anche perché funziona ancora alla perfezione.
Ho inforcato gli auricolari, sono sprofondata nel cuscino e ho tirato la coperta fino al mento. Ho chiuso gli occhi e ho fatto partire la musica.

Watermark di Enya
Nightswimming dei REM
Lost (acustica) dei Coldplay
What Sarah said dei Death cab for cutie
Someone like you di Van Morrison

Ho pensato che era la cosa meno materna che facessi da non so quanto: con la bambina che dormiva nella sua stanza, con la porta chiusa, io mi stavo isolando e non avrei potuto sentire il suo richiamo. Ogni tanto apro un occhio e guardo i led dell'interfono, perché se la bambina fa rumore, i led si accendono. Problema risolto.

Mi immergo nel mio mondo, un mondo privato, privatissimo, personale, intimo dove non entra proprio nessuno. Lascio che la musica mi lavi le orecchie spazzando via le canzoncine sentite fino a poco prima, quelle che richiede la Ballerina, le voci concitate dell'ufficio, le chiacchiere pesanti come sassi dei nonni, le parole insensate di certe persone, le follie che arrivano dai telegiornali.

Penso che non è come quando mi sparavo il walkman nelle orecchie da ragazzina, al buio nella mia stanza, alla ricerca dell'unico posto in cui mi sentivo adeguata, me stessa, senza giudizi. Non è una fuga, è solo una boccata d'aria. Arrivare sul pelo dell'acqua, mettere fuori la testa e prendere tanto, tanto fiato dopo parecchia apnea.

La musica dalle orecchie arriva in ogni angolo e mi scalda, sento le mani che diventano bollenti e nella testa arrivano pensieri belli: le amiche più care, i luoghi più cari...ritrovo me stessa. La me stessa che ogni tanto si perde nel lavoro, nella mammitudine, nella quotidianità. La me stessa che si dimentica di essere una persona al di là di tutto il resto. Quella musica mi ricorda chi sono.

Non ci vuole tutta la notte, solo una manciata di minuti. Poi posso spegnere l'iPod e prestare di nuovo orecchio all'interfono, che tranquillamente tacerà per tutta la notte. Ho una bambina d'oro, penso, anche per questo, anche semplicemente perché dorme. Mi viene voglia di alzarmi, andare da lei e consumarla di baci, ma naturalmente mi trattengo.

Rifletto su cosa ho ascoltato e trovo un inaspettato e non voluto filo conduttore.
Il pianoforte.

28 ottobre, 2013

Shopping, coscienza e sacchetti persi

"Aaaaaaah no, quest'inverno non mi serve niente, prendo una miseria di stipendio, quindi non compro niente! Solo per la Ballerina, io ho tutto, non mi serve nulla di nuovo!"

Lizzie Bennett, 2 settembre 2013
 
 
 
Ad oggi, 29 ottobre, ho comprato:
 
  • 2 felpe
  • 1 maglia con cappuccio
  • 1 cardigan
  • 1 paio di bikers (in realtà regalati dalla nonna che ormai sta benone)
  • 1 paio di leggins.
 
PERO', ho preparato due grossi sacchi con vecchi (vecchissimi!) capi che non metto più e che darò in parrocchia. Ah la mia coscienza è proprio a posto. Sissì.
 
E poi, sabato, in giro per l'outlet qua vicino, mentre tornavo all'auto, ho trovato per terra un sacchetto. Perso da qualcuno che forse ne aveva troppi per le mani e non si è accorto di averne fatto cadere uno. Ancora chiuso con i punti della pinzatrice. Il logo del negozio non mi dice nulla, non so dove sia. Mi guardo attorno: non c'è nessuno. Che faccio? Me lo tengo dai, che sarà mai, è un sacchettino piccolo.
 
Una maglietta dei Guns'n'Roses della mia taglia....tutta aperta nella schiena.
Quello che mi serviva per assecondare la mia regressione adolescenziale.
 


24 ottobre, 2013

Di sogni, vita e felicità

Stamattina ho letto un commento di Agnes ad un post di Anna e sono partita con le riflessioni: il commento mi ha colpita sul vivo, come se l'avessi scritto io, come se mi fosse stato letto nella mente.

La domanda è: se è vero che al giorno d'oggi la gente tende a non accorgersi delle proprie fortune, ad aspirare ad altro, a un indefinito "sempre di più", dov'è il confine tra una sana ricerca di stimoli e la condanna all'infelicità? E poi, gioire e godere della propria vita, della propria condizione così com'è, può portare alla noia e all'appiattimento, o è la strada per una vita davvero felice ed appagante?

Ci penso e ci ripenso e non arrivo a conclusioni definitive.

Posso supporre che, come in tutte le cose, ci voglia equilibrio.

E' sbagliata l'eterna insoddisfazione, vivere con negatività la sensazione che la propria vita sia incompleta. Bisognerebbe essere capaci di trasformare il senso di questo ipotetico vuoto in energia positiva, in voglia di fare, in determinazione.

E' sbagliato non avere più sogni. I sogni ci tengono in vita, ci animano, ci riempiono gli occhi e la mente, ma forse bisognerebbe imparare a formulare dei sogni possibili, prefissarsi traguardi raggiungibili, obiettivi di fronte ai quali non siamo sconfitti in partenza.

Ma è giusto porsi dei limiti? E' giusto mettere dei paletti anche ai sogni e non volare alto, almeno con la mente? Perché io lo so bene che non avrò mai una villa con giardino a Maida Vale (a meno di vincere al Superenalotto, ma per farlo bisognerebbe almeno giocare, cosa che non faccio), ma che volete che vi dica, non riesco a non sognarla!

E' giusto vivere sempre alla giornata pensando al massimo a cosa fare nel weekend, senza progetti a lungo termine? Non lo so.
I progetti "di vita" ci vogliono, altrimenti ci si sente in parte svuotati, arrivati.

E' sicuramente giusto apprezzare la propria vita, imparare a vederla, a sentirla e ad amarla. Riconoscere le nostre fortune e farne davvero tesoro. Pensare che non tutto ci è dovuto, tanto ce lo siamo sudato, ma tanto altro ci è stato donato e dobbiamo fare onore a questi regali. Ma non so se basta.

Ci vuole una tensione a "qualcos'altro", un'idea, un progetto...seppur piccolo, magari per gli altri insignificante. Forse ci vogliono tanti piccoli obiettivi, da raggiungere giorno dopo giorno, oppure un grande, favoloso progetto che sia il filo conduttore della nostra vita, che le dia senso e che a noi stessi dia forza e determinazione.

Dipende dalle persone, da come uno è fatto, dal carattere, dal pregresso, dalla situazione contingente. Impossibile trovare la formula magica, universale e giusta per tutti.

Avevo voglia di mettere nero su bianco queste parole, per cercare di sbrogliare la matassa e forse anche per capire dove sono io, in tutto questo bel discorso.

L'ho capito? Certo che no!

22 ottobre, 2013

Piccole contentezze

Nonostante il tempo uggioso di questa mattina, oggi mi sono "alzata bene".
Ieri sono riuscita ad andare a letto ad un'ora civile, ho anche letto qualche pagina. Cosa sto leggendo? Bertie plays the Blues di Alexander McCall Smith, autore scozzese che mi piace proprio tanto, soprattutto letto in lingua anche se ci metto il doppio del tempo, lo ammetto.

Sempre ieri sera sono anche riuscita nella ormai difficile impresa di fare un dolce, subito dopo cena, destreggiandomi tra marito, figlia ormai sempre meno interessata a Peppa Pig e la cronica mancanza di tempo.
Un esperimento, torta al cocco con gocce di cioccolato, una torta senza burro, per soddisfare Darcy che ha un cattivo rapporto col proprio colesterolo.
Buona buona, pat pat.

La cosa migliore poi, è che stamattina ho realizzato che la prossima settimana sarà CORTA, venerdì prossimo è il 1 novembre, il che significa un po' di cose.
Primo, non si lavora e già questo basterebbe per sorridere.
Secondo, la messa al cimitero del paesello di Darcy, usanza a cui lui tiene particolarmente e a cui io mi sono adattata e anche un po' affezionata.

Digressione: dovete sapere che io ho un pessimo rapporto con i cimiteri. Attirandomi le ire di mia nonna (non quella che è caduta la scorsa settimana, l'altra, che è più giovane, ha 88 anni...) quando era ancora lucida, perché "non vai mai a trovare tuo nonno", io al cimitero non ci vado, se non per i funerali a cui non posso mancare. Ho questa tendenza a preferire ricordarmi le persone da vive, una sorta di rifiuto che vedere una foto sul marmo spazzerebbe via ponendomi di fronte alla realtà dei fatti. Realtà dei fatti che rifuggo, finchè posso: mio nonno G. è a casa sul divano che fa il Bartezzaghi e mio nonno L. è al bar con gli amici che gioca a carte. Ecco.

Torniamo al weekend lungo.

Dopo questa messa partiremo per la montagna.
Due giorni pieni di buon cibo, buoni amici, buona aria e i meravigliosi colori autunnali della valle. Macchina fotografica al seguito.

Oh yes, oggi sono proprio contenta.

21 ottobre, 2013

Correva l'anno 2003

E' il 21 ottobre del 2003. Dieci anni fa.

Lizzie ha sfoderato i suoi pantaloni più belli, una camicia bianca e un cardigan di cotone nero con la zip. Effetto "formale ma non troppo".
Buffo come di quell'outfit, come si dice adesso, oggi non abbia più nulla. Tutto rovinato, consumato, sformato. Strausato.

Entra in ufficio per la seconda volta, la prima era stata la settimana precedente, per il colloquio, l'ultimo dei tre.

E' spaesata, anche se il pensiero che tra i colleghi vedrà un paio di facce amiche la conforta un po'.

Il pensiero dell'immensità dell'azienda e della difficoltà di ciò che tratta però, prende il sopravvento e Lizzie si ritrova con le mani fredde e sudaticce.

All'ingresso la accoglie una collega simpatica che per prima cosa le consegna un badge provvisorio, da tenere rigorosamente al collo (E' fondamentale per poter rientrare nell'open space quando si esce per andare in bagno, le spiega) e le indica la saletta break; dall'interno, un ragazzo alto e moro la vede attraverso le pareti di vetro ed esce a salutarla dicendo: "Ciao, tu sei Elizabeth, si ti stavamo aspettando, tu vieni dalle banche, vero? Io sono Carlo, adesso il tuo capo non c'è ancora comunque vieni che ti faccio vedere la tua scrivania, credo di sapere qual è, così appoggi la tua roba", dice indicando la sua borsa.
Lizzie si domanda che cavolo di importanza abbia il fatto di aver lavorato in banca in precedenza, non lo sa ancora, ma lo scoprirà prima di quanto creda.

Attraverso un corridoio, si accede all'open space.
Buon Dio.
Tanta luce.
Tante scrivanie.
Tanti squilli.
Tante voci.
Tante facce.
Pochi anni.
Sono tutti giovani, tutti dell'età di Lizzie, più o meno. E ci sono pure le piante. Vere, vive, non di plastica.

Lizzie capisce al volo di non essere capitata nel tipico ufficio italiano.
Questi ragazzi parlano inglese, vengono da tutt'Italia e hanno già vissuto all'estero.
Il clima è giocoso, sereno. C'è professionalità, modernità, spazio all'iniziativa. A Lizzie non sembra vero.

Arriva il capo. Pertuttiidiavolidell'Inferno, assomiglia a Jovanotti. E' serio, dall'aria intelligente e allo stesso tempo infonde calma e ispira simpatia, fin dall'accento. Le mani di Lizzie si riscaldano e si asciugano, pian piano.

Lizzie si accomoda alla sua nuova scrivania, che qui chiamano desk. Ha una grande sedia imbottita blu regolabile, la  scrivania è gigantesca, di legno chiaro, ha un armadietto, un portapenne, un portacarte, matite, biro, evidenziatori, blocchi per appunti, post-it, un pc e due telefoni.....le gira la testa. La scrivania è in un angolo dell'open space, con doppia vista finestrata che manco Paola Marella.

Il capo-Jovanotti le fa fare un giretto di presentazioni e lei, tra i tanti, ricorda solo i quattro nomi di chi conosce già: Simone, Michela, Elisabetta, Luca. Tutti gli altri sono un calderone di gente con strani cognomi, gente già meravigliosa in partenza: Lizzie li ama già tutti, perché nei loro occhi non vede diffidenza o distacco, ma gentilezza, accoglienza, apertura e voglia di conoscersi. Anche se lo è, Lizzie non si sente - e non si sentirà mai, anche perché non ne ha avuto oggettivamente il tempo - l'ultima arrivata.

La tappa successiva è il caffè: che diamine, sono pur sempre le nove del mattino. In saletta break si fuma ancora, la legge sul divieto deve ancora entrare in vigore. Dentro stanno parlando di cose strane, ma che per Lizzie diventeranno assai famigliari: volano parole grosse come server, cluster, istanza, database, licenza, supporto.
Alla macchinetta c'è una ragazza con un taglio di capelli strafigo. Sorride a Lizzie, un sorriso timido, ma caldo e bellissimo.
"Ciao, io sono Seavessi. Cosa prendi?"
"Caffè grazie", risponde Lizzie cercando la moneta in tasca.
"No lascia, il caffè è gratis", interviene il capo-Jovanotti.

Datemi un pizzicotto, pensa incredula Lizzie, stentando a trattenere una fragorosa, gioiosa risata .

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Questo è il ricordo del mio primo giorno di lavoro alla multinazionale americana. Il mio terzo lavoro, che è durato nove anni.
Le cose come sapete non sono sempre state idilliache, tutt'altro, e oggi riportare a galla quei momenti è particolarmente doloroso, ma a dieci anni da quel giorno comunque fatidico, mi piace rievocare quella fetta di vita con questo ricordo, con il primo giorno, con tutta la magia e la felicità che portava con sé.